I più coraggiosi tra i fagiani, le lepri e gli storni dell’Oasi di ripopolamento di Monte Camillone – quelli che non si spaventano di fronte a un botto a salve, o a un pallone gonfiabile con l’aspetto da rapace – si nutrono di uva rigorosamente biologica: la coltiviamo con un trattore così piccolo da infilarsi in filari strettissimi, ma a parte i trattamenti facciamo tutto a mano. Compreso stappare, brindare e darci pacche sulle spalle.
Ci piace il Montepulciano (anche alla cacciagione protetta che ne è ghiotta, mannaggia…). Ma non lo abbiamo lasciato solo: c’è il vecchio vigneto di Trebbiano e Malvasia, poi ne abbiamo piantato uno con un autoctono appena riscoperto, la Garofanata. Ci piace l’alberello, così fitto che ci fa lavorare di più ma alla fine produce grappoletti dolcissimi. Pochi ma buoni. E ci piacciono il buon legno, le anfore di terra cotta degli antichi romani e il cemento dei nonni.
Qualcuno chiama le Marche “il lato B della Toscana”: il lato B ha il suo fascino… Siamo a Castelfidardo, sui Prati di Rigo alle pendici del Monte Camillone. Il Conero, di fronte a noi, trattiene le nuvole e ci protegge dalle gelate. E’ il nostro terrorio e ce lo teniamo stretti.
Il naso di Giovanni, la fantasia di Paolo, la concretezza di Manu, le mani di Duilio e Aziz, e il cuore di Silvana. Tutto il resto sono macchinari, tubi e botti: ma la differenza la fanno sempre gli uomini (e soprattutto le donne).
PS: Poche regole chiare e condivise: usiamo i solfiti al minimo indispensabile e vinifichiamo in biologico per religione, non per scelta d’affari.